La lentezza e la resistenza ai cambiamenti sono radicate nella nostra cultura. E nei nostri ambienti lavorativi persistono pregiudizi e stereotipi nei quali è prima di tutto immersa la nostra società: vi sarà capitato di sentire colleghi e, purtroppo, talvolta anche colleghe - perché per essere maschilisti non occorre per forza di cose essere maschi – dirsi conviti che se una collega si veste per esempio in un certo modo, ciò significhi inequivocabilmente una sua disponibilità sessuale, oppure che lo fa perché ha ottenuto o vuole ottenere qualcosa. Troppe volte abbiamo sentito “misurare” la professionalità delle colleghe valutandole anche in base al presunto numero di partners avuti.
Chi non vive la discriminazione non capisce la necessità e l’importanza di determinate questioni. La parte della popolazione che detiene il privilegio, non si accorge che esiste una marginalizzazione di una certa categoria, che non sempre è una minoranza – nel caso delle donne non lo è per esempio, le donne sono una minoranza all’interno delle Forze Armate e di Polizia ma costituiscono il 50% della popolazione mondiale – e quando ciò viene fatto notare, le cose che ci vengono dette sono più o meno sempre le solite: “Ah ma siete esagerati, siete esagerate, vabbé ma non sarà proprio così, ormai la parità si è raggiunta, eh vabbé però che noia, non è che poi vivete così male, dipende anche da te come vi ponete, forse quello che pensate di subire in realtà lo subite perché siete dei rompiscatole, non perché donna/gay/nera”. Questa cosa qua, negare la discriminazione dell’altro nei termini in cui l’altro la vive, è un modo di esercitare il privilegio.
Come Polis Aperta non smetteremo di lottare per i nostri diritti non solo perché sia nella nostra professione che nell’ambito di questa associazione lavoriamo al servizio della giustizia sociale, ma anche perché non farlo priverebbe le generazioni future degli strumenti per difendere quei diritti.
Oggi è l’8 marzo, non la "festa della donna", ma la lotta per un mondo meno discriminante.